Mangiare a scuola è un servizio, ma anche un costo. E non sempre qualità dei cibi e modalità di consumo incontrano il favore di bimbi e genitori. Tuttavia, il pranzo è anche un momento di educazione alla socialità. Qual è il punto della situazione?
Mensa scolastica, sì o no? A scuole cominciate da poco la questione si ripropone, anche perché il disegno di legge, presentato a luglio, che sancisce l’obbligo di utilizzo del servizio mensa e, di conseguenza, il divieto di portare il pasto da casa si trova ora in Senato. E i genitori della cosiddetta “guerra del panino”, combattuta a colpi di sentenze, sono all’erta. Ma qual è la fotografia della situazione in Italia?
Anche per le mense scolastiche si parla di divario Nord-Sud Italia
La questione delle mense scolastiche si è aperta lo scorso anno, quando una sentenza del tribunale di Torino aveva consentito ad alcuni genitori – contrari all’aumento dei costi della refezione – di far portare a scuola il pranzo preparato in casa per i figli. È uscito poi un dossier di Save the Children, che evidenzia come sia forte la differenza tra le mense scolastiche del Nord e del Sud Italia: si tratta di un’analisi delle politiche e prassi relative alla mensa in Italia, con focus sui 45 comuni capoluoghi di provincia con più di 100mila abitanti. Nella pubblicazione si apprende che la presenza delle refezioni non è garantita in modo uniforme sul territorio: in particolare in ben 8 regioni italiane più del 50% degli alunni non ha la possibilità di usufruire del servizio mensa. Sussiste poi una forte associazione tra le regioni in cui la mensa è poco presente e le regioni in cui è fortemente diffusa la dispersione scolastica: la mensa quando associata al tempo pieno, al contrario, diviene un forte strumento di contrasto alla dispersione e alla povertà. Altro dato che si legge nella pubblicazione è che il servizio mensa, anche quando disponibile, non sempre è erogato in appositi refettori. Il dato nazionale ci riporta una situazione allarmante: il locale della mensa manca nel 23% delle scuole che erogano il servizio di ristorazione. In questi casi i bambini sono costretti a mangiare in classe o in aule adibite a tale scopo e molto spesso sono loro stessi a portare da casa le posate e i piatti.
Il panino in classe è una valida alternativa?
A che punto siamo quindi sulla possibilità del pasto fai da te? Il dibattito relativo alle mense scolastiche da giugno del 2016 si è animato intorno alla questione relativa alla possibilità di consumare a scuola il pasto portato da casa. Ciò è stato reso possibile, dicevamo poco fa, da una sentenza della Corte di Appello di Torino che ha riconosciuto il diritto di 58 ricorrenti di far consumare ai figli nella pausa pranzo, negli stessi locali destinati alla refezione scolastica, il pasto preparato a casa in alternativa al servizio mensa. Sulla scia di questo provvedimento altri genitori in tutta Italia si sono mostrati interessati alla possibilità di portare il cibo da casa per il pranzo a scuola. C’è stata però poi una sentenza del tribunale di Napoli che ha affermato, invece, che al diritto alla libertà di scelta individuale del genitore vadano contrapposti altri diritti fondamentali della collettività, anch’essi di rango costituzionale, come il diritto all’uguaglianza e alla salute, alla partecipazione a una comunità sociale, quale appunto quella scolastica.
Una questione aperta
La questione quindi è ancora aperta, e non ha né vinti né vincitori. Alla fine dell’anno scolastico 2016/2017, stando ai dati diffusi da un’indagine Anci su 46 comuni italiani con più di 100mila abitanti, sembra che il fenomeno del “panino in classe” si stia diffondendo. Dai dati parziali resi disponibili, emerge che su un campione di 350mila bambini delle scuole primarie dei 25 comuni che han dato riscontro, il 2,3% porta il pasto da casa. Per ogni mille bambini che utilizzano la mensa, ce ne sono altri 24 che portano il pasto da casa. Il fenomeno però è presente solo in 8 comuni tra i 25 interpellati. Più evidente il caso di Torino, dove risultano 4.057 casi (il 79%) dei casi complessivi. In conclusione, secondo quanto si legge nel dossier di Save the Children, quel che si può rilevare è che da una parte sicuramente non si può sminuire la posizione delle famiglie che scelgono il pasto da casa, probabilmente anche a causa delle difficoltà economiche dovute alle rette che spesso sono effettivamente onerose. Dall’altra occorre ricordare che la mensa non è un luogo dove ognuno mangia per sé: al contrario, è un momento educativo in cui attraverso il cibo si trasmettono importanti valori tra cui l’integrazione, la socializzazione, la prevenzione e l’educazione alimentare. Ciò che è richiesto, quindi, è probabilmente un equilibrio tra un più equo accesso al servizio e la possibilità di scegliere liberamente.
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