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Ancora dalla parte delle bambine… e dei bambini

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Gli stereotipi di genere si possono inserire facilmente nell’educazione dei bambini, e noi genitori rischiamo di seminare per primi, inconsapevolmente, il germe della discriminazione.

Maschio o femmina? Fin dal concepimento, nella testa e nel cuore dei futuri genitori nasce il pensiero e l’attesa per il loro bambino o bambina. Una volta scoperto il sesso del nascituro, la stanzetta diviene il luogo in cui si comincia a dare forma all’identità, spesso attraverso l’utilizzo di elementi socialmente condivisi, quali i colori: rosa per la femmina ed azzurro per il maschio. Le pareti, il lettino le coperte, il fasciatoio e i primi giocattoli contribuiscono già a dare vita all’individuo che verrà.

Nella mente degli adulti “in attesa“ si creano pensieri e aspettative caratterizzate da modelli culturali che si appoggiano spesso a stereotipi, che forniscono un’idea generale sull’identità del nascituro e sul rapporto che gli adulti intrecceranno con lui: è femmina… farà la ballerina, oppure è un maschio… amerà le macchine ed il calcio.

Cose da femmina, cose da maschio o cose da bambini?

è importante considerare questi stereotipi semplicemente come “punti di partenza” e non come riferimenti esclusivi da utilizzare nel rapporto educativo con i piccoli. Ed è importante creare una relazione affettiva nella quale trasmettere il valore di sé come individuo, che può esprimere anche la propria appartenenza di genere, senza però forzature che rischierebbero di creare rigidità di pensiero e discriminazioni.

Spesso è proprio nell’accompagnamento al gioco o allo sport che i genitori mettono in atto tali forzature. Per esempio, la bambole sono per le bambine o i trenini per i bambini. “Errori” che nascondono il timore di una qualche influenza distorta sullo sviluppo dei figli. Questo può accadere perché non sempre si ha chiaro che identità di genere, identità di ruolo e identità sessuale sono cose diverse, che si sviluppano in fasi diverse.

Essere liberi di giocare

Il gioco può essere considerato come un’esperienza centrale nello sviluppo della personalità di un individuo in crescita. Il gioco e la scelta dello stesso non dipendono esclusivamente dall’appartenenza al genere maschile o femminile, ma indicano la necessità e il desiderio dei piccoli di esprimere loro stessi in differenti ruoli (maschile e femminile) e rappresentare l’affettività e l’emotività legate a tali funzioni. Esso è altresì il “luogo simbolico”in cui il bambino esprime ciò che vive e sente.

Quindi se una bambina inscena un gioco di guerra o è attratta dalle macchinine sta tentando di esprimere la propria aggressività, oppure cerca esprimere il proprio coraggio come essere che può difendere qualcosa a cui tiene. Inoltre, la messa in atto di strategie può sviluppare le proprie capacità intellettive o di problem solving, o ancora può essere l’espressione di una fase della vita in cui sta provando frustrazione o rabbia.

Capita altresì che i maschietti scelgano di giocare con una bambola, oppure si improvvisino provetti cuochi in grado di preparare deliziose pietanze o riprodurre cibi da loro preferiti. Anche in questo caso, l’aspetto fondamentale è ciò che il gioco esprime. Ecco che il bambino mostra la propria capacità di cura, oppure esprime la propria capacità di fare qualcosa di buono per sé e per gli altri.

Anche per gli sport è importante ciò che l’attività permette al bambino o alla bambina di sperimentare. Prendiamo il gioco del calcio: ultimamente vede la presenza di squadre miste nei campionati di quartiere o cittadini. In questo spazio, i bambini di entrambi i sessi possono sperimentare competenze individuali e di gruppo, quali l’apprendimento di tecniche di gioco e la possibilità di dare il proprio contributo, così come riconoscersi parte di un gruppo e raggiungere tutti insieme uno scopo comune, il divertimento ed il conseguimento di un obiettivo, quale la vittoria.

è fondamentale che gli adulti lascino che siano i bambini a scegliere il proprio gioco, attraverso un atteggiamento propositivo e rispettoso e ridurre così il rischio di cadere nel pregiudizio (giochi “da femmina“ o “da maschio“) e di etichettare un gioco e renderlo non più accessibile. Lasciarli liberi permette di creare uno spazio di socializzazione tra pari, permette l’identificazione con l’altro e nutre la consapevolezza di sé.

Identità, identità di genere, identità di ruolo e identità sessuale: cosa sono?

Dicevamo prima che a volte gli adulti favoriscono inconsapevolmente gli stereotipi perché si fa confusione su cosa siano e come si sviluppino identità, identità di genere, identità di ruolo e identità sessuale. Vediamo di fare chiarezza.

L’identità è un concetto centrale nell’area delle personalità. Essa si riferisce alla consapevolezza della propria individualità in relazione alla cultura e al gruppo di appartenenza. Il bambino/a comincia a percepire la propria esistenza a partire dalla propria nascita all’interno delle relazioni primarie. Cioè, il neonato inizialmente ha una relazione simbiotica e indifferenziata con la propria madre (o con l’ambiente che presta le prime cure) e non si percepisce separato da essa. Successivamente, attraverso una regolazione emotivo–affettiva fatta anche dall’esperienza della mancanza dell’altro, comincia a sperimentare la propria separatezza dell’oggetto affettivo e la propria impotenza, ed inizia a percepirsi come entità singola. L’introduzione del “terzo” – solitamente il padre che funge da elemento separatore – permette all’infante di divenire più attivo nella percezione degli stimoli esterni da sé. Con lo sviluppo psichico il piccolo individuo sa di esistere,di avere un corpo ed essere in grado di interagire intenzionalmente con il mondo circostante.

A partire dalla scoperta della propria esistenza, l’identità può articolarsi in diverse aree, tra cui l’identità di genere che consente di conoscere la propria appartenenza al genere maschile o femminile. Tra l’anno e mezzo e i due anni, i bambini riconoscono l’esistenza di due categorie sociali – maschi e femmine – e cominciano a classificare se stessi. Verso i tre /quattro anni essi comprendono che il proprio sesso non muta nel tempo e riconoscono di essere “sempre” stati maschi o femmine (da piccoli).

Intorno ai sei/sette anni realizzano che la femminilità o la mascolinità non sono dipendenti da fattori esterni quali l’abbigliamento o il gioco, e si riconoscono nel proprio genere al di là di questi elementi. Si possono travestire, usare giochi convenzionalmente indirizzati all’altro sesso, ma sono stabili nel loro genere. Si può, quindi, affermare che l’identità di genere è il risultato dell’interazione tra le relazioni con i genitori (identificazioni primarie), l’educazione ricevuta e l’ambiente sociale di crescita.

Correlata all’identità di genere, vi è l’identità di ruolo che è data dall’insieme di comportamenti esperiti all’interno delle relazioni interpersonali e dalle attitudini che socialmente sono riconosciute come appartenenti ai maschi o alle femmine. L’identità di ruolo esprime un adattamento individuale a norme sociali condivise su attribuzioni fisiche (apparenza), gesti (manierismi), interessi, abitudini tipiche e tipicizzanti del genere (maschio o femmina).

Per Freud (1905) la consapevolezza di genere si acquisisce in entrambi i sessi di appartenenza attraverso l’esperienza: nelle femmine rilevando l’assenza del pene (invidia del pene), mentre nei maschi con l’ansia di castrazione. Da questi elementi si avvia la dinamica del complesso di Elettra e di Edipo, dalla cui risoluzione deriverà la successiva struttura psicosessuale dell’individuo e conseguentemente la sessualità adulta.

La sessualità, quindi, non è riducibile alla genitalità, ma deve essere pensata come elemento costitutivo della personalità biopsicosociale. Essa si articola in 4 fattori ben distinti, ma al tempo stesso collegati tra loro: identità di genere, identità sessuale, orientamento sessuale e comportamento sessuale.

Per quanto riguarda le bambine essa avviene attraverso un processo lineare: emerge dalla fusione simbiotica con la madre e si identifica nel suo genere, mentre i bambini dirigono le proprie identificazioni verso il padre. Quindi, si può affermare che entrambe le figure di accudimento o le funzioni ad esse connesse (madre ambiente di cure primarie e padre mondo sociale) sono fondamentali nella costruzione dell’identità dell’individuo e concorrono a porre le basi delle differenti “facce” dell’identità.

La parità dei sessi si trasmette proprio con l’educazione

In questo scenario, ci si può interrogare su cosa possa significare la“parità dei sessi”. Abbiamo visto come sia i maschi che le femmine acquisiscono il senso di sé e la propria identità. Il ruolo degli adulti diviene, quindi, ancora una volta importante se, attraverso una “buona educazione”, permettono ai piccoli di diventare uomini e donne e riconoscere il proprio valore di individuo nelle proprie specificità di genere.

Educare significa trasmettere i propri valori di riferimento in maniera autentica, attingendo ai propri modelli sociali di appartenenza e dando spazio all’affettività. Se l’adulto si pone come facilitatore, consente ai bambini di utilizzare ciò che trasmette come elementi naturali di conoscenza e di consapevolezza.

Lasciare che i bambini o le bambine esprimano il loro mondo interno attraverso la scelta del gioco, senza attribuire allo stesso un significato di genere, può essere un mondo di farli crescere liberi e sicuri nel loro essere maschi o femmine e li renderà capaci di crescere tra uguaglianze e differenze senza timore. Questo atteggiamento di accompagnamento nella crescita ridurrà così il rischio di sentirsi inadeguati o vivere la diversità come un tabù o qualcosa da cui allontanarsi o difendere in maniera rigida. E questo è valido per entrambi i sessi.

Il profilo della dott.ssa Lamera del Policentro Pediatrico di Milano

Laura Lamera

Laura Lamera

Laura Lamera è Psicologa - Psicoterapeuta del Policentro Pediatrico di Milano, dove si occupa di supportare i pazienti pediatrici per tematiche inerenti alle differenti fasi di sviluppo del bambino, dalla fase post-natale all’adolescenza, nonchè alle problematiche legate alla famiglia.

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